Carta bianca
Falso allarme. In fondo al corridoio, nella hall centrale e di nuovo nell’Archivio odo il nulla. Desisto dall’andare oltre. Percepisco un forte impulso, un invito ad esplorare. D’altra parte, muoio dalla voglia di restare di fronte ai file però torno alla hall. Lancio un’occhiata fulminea alle indicazioni. Biblioteca. Una scritta nuova! Nessun clangore metallico.
Le goccioline si susseguono copiose. Una dopo l’altra, facendo a gara con quelle che si formano per la condensa. Solo le prime vengono risucchiate dal piatto doccia. E si nascondono sotto i cumuli di schiuma. Sfidandole, quelle condensate minacciano pioggia sulle nuvolette schiumose che occludono lo scarico, crollandovi sopra quali fiumiciattoli in piena. L’ultimo scroscio di acqua calda precipita sui riccioli che attutiscono il colpo.
(Biblioteca…eppure la prima volta non mi sembrava di averla notata, ahia il piede, così si ustiona! Ok, ok fatto, ci metto un po’ di acqua fredda. Adesso basta che voglio asciugarmi. Dai ci sono…sì!). Il pensiero viene interrotto dal soffione che cade. Lo raccolgo, con la curiosità che si scatena nell’animo. Indosso indumenti puliti e la mente continua a battere lì.
Faccio un bel respiro. Che ci vuole ad aprire una porta? Ma quella si apre da sola perché è scorrevole. Tanto meglio, non ho tempo di ascoltare la defibrillazione interna. Per poco non mi maledico, tutto questo pensare mi uccide. Lentamente. Vivo e vegeto. E sempre vivo, vengo sovrastato da pile e pile di volumi secolari, sapientemente riposti su scaffali e per le quantità esorbitanti conservati in teche, vegliate da ori affrescati. Mi avvicino e non riesco a scegliere. Respiro un’aria barocca. La sento appartenere a me. Ne rimango quasi invaghito. Sopraggiunge la frenesia di sfogliarli tutti. E l’idea che forse da questo dilemma non ne esco più. D’altronde, che motivo c’è di avere a disposizione una raccolta affascinantissima e al contempo anche una digitale, seppur sprovvista del mio nome, per giunta completa? Tradisco di continuo la promessa di non riflettere. Ti chiedo scusa, Aron, mi dico. Cattura l’attenzione un saggio in particolare. Locke. Su una pagina incartapecorita leggo:
“Supponiamo che lo spirito sia come si dice un foglio di carta bianco, privo di qualsiasi segno, senza nessuna idea; come arriva a essere fornito di idee?”
Inutile ripetere che tentare di rimettere il cuore a posto, dopo averla letta una frase del genere, mi pare impossibile. Dopo che il cuore ti balza via dal petto, chiaro. Per quanto irrazionale, mi sembra davvero la domanda a tutte le mie domande. Sì, la domanda, non la risposta. Quella arriva immediatamente, nella lettura:
“Dall’esperienza, nella quale è fondata tutta la nostra conoscenza, e dalla quale essa in ultima analisi deriva. In primo luogo i nostri sensi, avendo rapporti con oggetti sensibili particolari, convogliano nello spirito diverse percezioni distinte delle cose, secondo i vari modi in cui quegli oggetti agiscono sui sensi. […] perché le idee che la riflessione fornisce sono soltanto quelle che lo spirito ottiene riflettendo sulle proprie operazioni dentro se stesso.”
Il pensatore si sarà sentito come me. Eppure portava un altro nome. Ecco la vera voce di Aron!
(continua…)
Aurora Molisso