Pane, pasta o pizza?
Dal 14 al 20 novembre si è tenuta in tutto il mondo la settima edizione della Settimana della Cucina Italiana nel Mondo. Si tratta di una rassegna tematica annuale, nata nel 2016, dedicata alla promozione della cucina e dei prodotti agroalimentari italiani di qualità, promossa da Ambasciate, Consolati, Istituti Italiani di Cultura e Uffici ICE all’estero. Il tema portante della manifestazione è stato: “Convivialità, sostenibilità e innovazione: gli ingredienti della cucina italiana per la salute delle persone e la tutela del Pianeta”.
All’estero la nostra cucina è senza dubbio rinomata e apprezzata grazie a pasta, carne, formaggi, salumi olio d’oliva e molti altri prodotti che rendono unica la nostra dieta mediterranea. Tuttavia, molte pietanze o abitudini culinarie vengono fraintese così come i loro nomi, spesso storpiati sui menu internazionali. Nonostante ciò, anche il lessico della cucina italiana si avvale di termini provenienti da altre lingue e in particolare dal francese. Vediamoli insieme!
Già nel Medioevo nella cucina italiana compaiono storpiature di nomi francesi come mostarda dal francese “moustarde” e buglione da “buillon”. Durante il Rinascimento, la cultura italiana e quella francese si influenzano a vicenda ma nell’Ottocento gli chef italiani decidono di cambiare rotta appellandosi al patriottismo. La fine del XIX secolo vede la nascita della ristorazione moderna ma è verso la fine degli anni ‘70 che con la nascita della Nouvelle Cuisine il vocabolario gastronomico francese entra a far parte delle cucine di ristoranti e non solo. Pensiamo a barbecue, croissant, mousse, soufflé, il taglio alla julienne e omlette; anche per le tecniche di cottura prendiamo in prestito dei termini che arrivano dalla Francia come ad esempio il flambé. I termini d’Oltralpe sono considerati raffinati e internazionali, infatti nelle guide gastronomiche possiamo trovare maître, dessert e naturalmente chef. La presenza di parole straniere nella lingua italiana del cibo non è una novità ma i prestiti sono aumentati nel Novecento con l’aumento di anglismi soprattutto per via della diffusione del modello americano. Di conseguenza, non solo il francese ma anche l’inglese ha preso il sopravvento sul nostro caro italiano: chips, cornflakes, hot dog, snack e soft drink. Ma che valenza ha l’italiano nel lessico culinario delle stesse lingue straniere?
Gli italianismi nel mondo costituiscono un fenomeno di grande ampiezza che interessa un numero alto di lingue. Termini di origine italiana relativi alla gastronomia si ritrovano nelle lingue europee già nel XVI secolo. Ad esempio, la parola mortadella viene attestata per la prima volta in francese nella forma adattata “mortadelle” nel XV secolo. Parole come antipasto, polenta, bologna sono documentate nei dizionari a partire dal Cinquecento. Molti sono anche gli italianismi gastronomici recenti connessi soprattutto al fenomeno dell’emigrazione: lasagne, ricotta, spaghetti, mozzarella, prosciutto e pizza.
Il termine pizza può essere considerato un realia all’interno di tutte le lingue del mondo e per quanto riguarda la sua etimologia varie sono le ipotesi formulate tra cui quella germanica che sembrerebbe far derivare il termine dall’antico alto tedesco bizzo-pizzo registrato con il significato di “morso”, “boccone”. Sapevate che in passato il termine pizza veniva usato anche per indicare preparazioni dolci? A dirlo è Pellegrino Artusi nella sua opera Scienza in cucina.
La lingua della gastronomia è quindi caratterizzata dalla convivenza di termini locali, che riflettono tradizioni regionali, e termini stranieri, di origine diversa, molti dei quali entrati già da molto tempo nella nostra lingua e conservati fino ad oggi.
Fonti:
https://www.viv-it.org/book/export/html/1576
Marianna Ciofani