23 maggio 1992 – 23 maggio 2022
Minchia signor tenente
Faceva un caldo che se bruciava
La provinciale sembrava un forno
C’era l’asfalto che tremolava
E che sbiadiva tutto lo sfondo
Ed è così, tutti sudati
Che abbiam saputo di quel fattaccio
Di quei ragazzi morti ammazzati
Gettati in aria come uno straccio
Caduti a terra come persone
Che han fatto a pezzi con l’esplosivo
Che se non serve per cose buone
Può diventare così cattivo che dopo
Quasi non resta niente
Giorgio Faletti, Signor Tenente
Il 23 maggio 1992, alle 17:58, esplodevano circa 500 chili di tritolo posizionati sull’autostrada A52 nei pressi di Capaci, tra Trapani e Palermo. Quei 500 chili di tritolo portarono con sé, oltre ai detriti e all’asfalto, Antonino Montinaro, Vito Schifani, Rocco Di Cillo, Francesca Morvillo e suo marito, Giovanni Falcone.
Arrestato nel 1996, Giovanni Brusca è stato identificato come il coordinatore dell’attentato, sotto il mandato del consiglio provinciale ed interprovinciale di Cosa Nostra, diretti da Salvatore Riina. Esattamente 57 giorni dopo, il 19 luglio del 1992, in via D’Amelio 21 a Palermo, una Fiat 126 carica di Semtex-H saltò in aria uccidendo il giudice Paolo Borsellino e altri 5 agenti della sua scorta.
Gli attentati, pianificati sulla volontà di eliminare gli elementi scomodi alla mafia, non hanno fatto altro che risvegliare la coscienza di un Paese assopito. I carnefici che hanno portato via i due pilastri storici della lotta Stato-mafia avevano come obbiettivi aggiunti anche l’allora Ministro della Giustizia Claudio Martelli ed il giornalista Maurizio Costanzo.
La cosiddetta “stagione delle stragi” non risparmiò neanche il giudice Rocco Chinnici, ideatore del pool antimafia di cui dal 1983 lo stesso Falcone faceva parte come giudice istruttore. Molti collaboratori di giustizia hanno sostenuto che Falcone era già nel mirino dei Corleone e delle altre cosche proprio a partire da quell’anno. Come disse Borsellino, Falcone aveva cominciato a morire a partire dal 1988, anno in cui il Csm aveva preferito Antonino Meli come consigliere istruttore di Palermo e capo del pool antimafia. Le dichiarazioni di Borsellino contro le istituzioni non fecero altro che sostenere le parole di Falcone dopo il tentato omicidio di Addaura: il magistrato parlò di “menti raffinatissime”, capaci di completare e dirigere le azioni della mafia.
Dopo 30 anni, esistono ancora luci ed ombre sulla strage di Capaci. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino rappresentano la lotta alla mafia, ma soprattutto la realizzazione che la mafia si può e si deve combattere senza paura. Borsellino, Falcone, gli agenti di scorta e gli altri esponenti della lotta alla mafia del Nostro Paese rappresentano la volontà dello Stato di riprendersi il paese, di porre fine alle carneficine e di rendere giustizia alle vittime, a coloro che si sono sacrificati per noi.
Ai funerali delle vittime, il 25 maggio 1992 a Palermo, Rosaria Costa, vedova di Schifani, pronunciò queste parole in lacrime di fronte alle telecamere:
‘Rivolgendomi agli uomini della mafia, certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c’è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare…
Le parole strazianti di una donna che nonostante la violenza, nonostante la crudeltà dell’attentato, riesce a pronunciare le parole “io vi perdono”: la resilienza di una città che non ha mollato la presa, soprattutto grazie al sacrificio di Falcone e Borsellino.
Martina Noero