Roma, l’ambiente habesha di etiopici ed eritrei
Roma è, insieme a Milano, la città italiana con il più grande ambiente habesha, termine che fa riferimento a un gruppo di popolazioni presenti nelle odierne Etiopia ed Eritrea che hanno numerosi elementi comuni alle popolazioni indigene e mediorientali, come la condivisione di lingue appartenenti al ceppo semitico (ovvero affini a quelle dell’attuale Medio Oriente), ed elementi culturali molto simili nella tradizione della chiesa ortodossa eritrea e etiope. Secondo l’uso colloquiale del termine, habesha investe si utilizza principalmente per la diaspora etiope e eritrea verso Nord America e Europa.
In Italia infatti, alla fine del 2011, vi erano 12.000 eritrei e 9.000 etiopici. Roma fu considerata la città di destinazione prediletta le per possibilità lavorative della città e per le reti di connazionali presenti sul territorio che garantiscono l’inserimento socioeconomico e l’ottenimento dell’alloggio. Roma – città che “ha tante favole eterne per gli esiliati”, come scrive la poetessa Ribka Sibhatu (Aulò, canto-poesia dall’Eritrea) – è così la nuova casa di eritrei e etiopici. Le prime ondate migratorie risalgono agli anni settanta, ma già dagli anni sessanta cominciano ad arrivare soprattutto le donne eritree, al seguito di mariti italiani che lasciavano la colonia, e continuano ancora oggi.
Le reti di “Action” e “Blocchi Precari Metropolitani” hanno realizzato diverse occupazioni in cui migranti di varia provenienza convivono nello stesso spazio. Nello specifico, gli eritrei sono concentrati – secondo i dati del 2014 analizzati dall’antropologo Costantini – a Collatina, Anagnina e piazza Indipendenza; tre grandi occupazioni considerabili “eritree” alla luce della gestione totalmente autonoma con l’elezione di comitati interni. Queste occupazioni sono gestite da comitati eletti che cambiano periodicamente, e che rappresentano i vari gruppi presenti all’interno (eritrei musulmani, etiopici, sudanesi, somali). Mentre Piazza Indipendenza è una struttura non molto degradata, le altre due hanno condizioni strutturali peggiori, con tende improvvisate e talvolta soli materassi sul pavimento.
Il primo palazzo, ex sede dell’Inpdap sulla Via Collatina, fu occupato nel 2004 in seguito allo sgombero dell’Hotel Africa, ovvero il grande capannone nei pressi della stazione Tiburtina in cui vivevano centinaia di rifugiati e migranti. Questo palazzo fu soprannominato dagli eritrei “Neaznet” (letteralmente “libertà”). Il palazzo ospita circa 800 persone, di cui la maggioranza eritree; è riconosciuto così come un centro di accoglienza autogestito.
L’occupazione di Anagnina, conosciuta come Salam Palace (“Casa della Pace”) segue lo stesso tragitto: nasce con i rifugiati dell’Hotel Africa, con altri 800 persone e con la presenza anche di somali. L’edificio sorge nella periferia sud di Roma, sull’asse Romanina-Anagnina, molto lontano dal centro abitato, ex sede dell’Università Tor Vergata.
Piazza Indipendenza, la “Nuova Casa” è invece l’occupazione più recente; a differenza delle due precedenti, si trova nel centro di Roma a pochi passi dalla stazione Termini e nel cuore di quella che può essere definita la parte habesha di Roma, con numerosi negozi, ristoranti e bar eritrei ed etiopici. Da Via Milazzo a Via dei Mille, da Via Volturno a Via Montebello; è la zona dove etiopici e eritrei, pur con le loro differenze religiose, convivono e occupano lo spazio pubblico raccontando la propria storia.
Evelyn de Luca
Fonte:
La nostra identità è Gesù Cristo, Osvaldo Costantini, Franco Angeli, 2019.