L’Universo è un insieme di interrogativi infiniti, armonico nel suo apparente e incomprensibile disordine. Le sue origini, ciò che lo compone, la meraviglia del sentirsi così piccoli e insignificanti in uno spazio che si espande a macchia d’olio, affascinano persone di tutte le fasce d’età. Chi non si è mai chiesto: Da dove vengo?Perché ciò che mi circonda è così?, anche se solo una volta e di sfuggita?
A cercare, per quanto possibile, di rispondere ad alcune di queste domande è stato il professor Eugenio Coccia, fisico italiano attivo nel campo della fisica astro particellare, direttore del Gran Sasso Science Institute e, prossimamente, uno dei sette scienziati che comporranno il Consiglio tecnico-scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana; abbiamo avuto l’immenso onore di intervistarlo in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Accademico 2019/2020 dell’Università degli Studi Internazionali di Roma – UNINT.
Il focus principale attorno al quale si è sviluppata l’intervista è stato la forza della curiosità e dello stupore, che lo ha personalmente spinto a prendere parte al team mondiale di ricerca sulle onde gravitazionali. A quanto pare, questa ricerca ha dato i suoi frutti: l’11 febbraio del 2016 è stata annunciata la prima verifica sperimentale delle onde gravitazionali, la quale si rivelò essere positiva. Queste onde, dunque, non sono più state un’ipotesi non del tutto provata: erano reali e tangibili e avrebbero permesso di trovare risposte circa la nascita dell’universo e l’acquisizione di informazioni anche dalle sue zone oscure. Un successo storico, a cui Coccia ha pienamente contribuito.
Tuttavia, ci sono ancora molti misteri da
risolvere per completare l’insieme dei tasselli del quadro. La strada è ancora lunga
ma questa ricerca aprirà nuove strade.
«Questa scoperta ci consentirà anche di capire meglio cosa sono i buchi neri e quanti sono, capire cosa sono le stelle di neutroni e come portare avanti lo sviluppo di strumentazioni e metodologie di importante uso quotidiano» dice Coccia. «Alla base di tutto c’è il soddisfacimento di una grande sete di conoscenza».
Nulla può fermarlo, nemmeno le difficoltà apparentemente più insormontabili: per Coccia, come per tanti ricercatori, i perché sono più delle risposte e non si possono mettere a tacere. Perché? Non è solo una domanda, è un pungolo che rende anche più vivi e più consapevoli di essere sempre un passo indietro rispetto a Madre Natura.
«All’origine del mio percorso di studi, c’è lo stupore di svegliarsi su un pianeta che ruota attorno a una stella tutto sommato piccola» aggiunge il fisico sperimentale «in una galassia tra migliaia di galassie, in un universo che si espande».
Dato che la curiosità e la sete di conoscenza non risparmiano nemmeno noi “profani”, saremo impazienti di conoscere tutte le risposte derivate degli “Eureka!” dei prossimi anni.
In bocca al lupo a tutti i ricercatori, giovani e meno giovani.
“E questa è la meraviglia della storia e anche della politica che è sempre una sfera della libertà. Noi trent’anni dopo possiamo dire le cause, le concause, perché era successo [..] ma poi c’è la libertà degli uomini e delle donne che fanno accadere delle cose quando non te lo aspetti.”
UNINTBlog e Radio UNINT intervistano Marco Damilano, Direttore del settimanale l’Espresso, in occasione del trentesimo anniversario della caduta del muro di Berlino.
Cari lettori, care lettrici, non è facile condensare in un testo tutto ciò che ho vissuto. Ricordo l’emozione prima di partire, le mie aspettative e l’acquolina in bocca al solo pensiero di ottenere il doppio titolo di laurea. Orbene, alla fine di questa esperienza il valore del titolo è stata l’ultima delle cose in ordine d’importanza. Il lettore non ha capito? Mi consenta di esprimermi meglio: nel viaggio di studi all’estero si avvia un processo inconscio e spontaneo di maturazione che termina leggermente prima della partenza. Si può azzardare il momento esatto: quando compri l’ultimo biglietto, quello di sola andata, o forse dovrei meglio dire “solo ritorno” verso casa. Utilizziamo come estremi proprio i due biglietti principali, quello che ti guida verso la porta del Paese ospitante e quello che ti riporta al nido del Domus. Nel mentre, un vortice di emozioni (non tutte positive, sia ben chiaro, altrimenti non si crescerebbe) colpisce anima e corpo con la stessa delicatezza di un tornado nel Midwest americano.
Procediamo con ordine: l’arrivo. Sofia non è una metropoli occidentale, bensì la capitale di uno stato che economicamente parlando rappresenta il fanalino di coda dell’Unione Europea. Non ti senti a casa, ci vuole tempo per abituarti anche a un alfabeto che, se non sei esperto o appassionato di slavistica, fai fatica a render morbido alla vista. Non poteva essere che così, d’altronde Cirillo e Metodio, padri dell’alfabeto cirillico, sono nati lì. In sintesi, con l’eccezione della reboante, seppur piccina, Vitosha Boulevard non hai la percezione di essere in Europa. A tutto ciò si accompagna l’aspetto caratteristico dei locali: tra i paesi che possiamo nominare come “slavi”, questo è il più variegato di tutti, etnicamente parlando. Basta guardare le varie stature dei bulgari: se da un lato è facile imbattersi in taglie 48 di scarpa (il che presuppone che vi siano dei “giganti” che le indossino); dall’altro le tracce di 500 anni di dominazione ottomana si fanno sentire nelle minute stature dei bulgari dall’origine mediorientale. Posso affermare che l’uomo bulgaro se non è alto è largo… no, non mi fraintenda l’attento lettore. I bulgari amano andare in palestra, sono appassionati di sport che prediligono la forza fisica, le grandi masse muscolari e…i capelli corti. Cortissimi! Dai barbieri capitolini il taglio militare abbonda. Ma ora veniamo alle donne: sono un ragazzo che ha viaggiato molto, ma mai mi era capitato di vedere una quantità così elevata di belle ragazze. Bionde, more, alte, basse, a Sofia ce ne è per tutti i gusti. Le bulgare ti possono far girare la testa, ma per rispetto delle lettrici (e dispiacere dei lettori), mi fermerò qui.
Una volta descritti fisicamente, passerò al modus vivendi. Gli abitanti di questa nazione, estesa più o meno quanto il Nord Italia, sono dei grandi lavoratori, lavorano tantissimo! Ho visto cantieri venir su in tempi record, centri commerciali chiudere alle 23 e palestre aperte 18 ore anche la domenica. Tuttavia, accanto a quest’operosità notevole, si trova una povera attenzione al turismo e un Customer Service ai minimi storici: esatto, in Bulgaria può facilmente accadere che debba inalberarti per ottenere ciò che ti spetta di diritto. La burocrazia, in particolar modo, è tagliente anche nei Balcani. Per non divulgarmi troppo vorrei parlare dell’Ateneo: l’università nazionale e mondiale di economia di Sofia è un neo centenaria università bulgara. A primo impatto ricorda La Sapienza di Roma, grande, maestosa e un tantino sovietica all’apparenza. Il colore predominante è un marroncino-beige abbinato al rosso delle insegne indicanti nomi e numeri delle aule. In questo luogo, così diverso dalla mia UNINT, ho conosciuto l’economia: per la prima volta nella mia vita ho studiato questa materia, grazie a docenti che, a differenza dei gestori delle attività in capitale, di Customer Service ne hanno, eccome! L’impatto è stato duro, ma è soprattutto grazie a loro che io e le mie colleghe abbiamo superato l’ostacolo della diversità delle discipline. Esatto, io vengo da una formazione umanistica (ho frequentato il liceo classico) e da un quinquennio universitario d’impronta linguistica (Mediazione in triennale e Interpretariato alla magistrale), per cui, cari lettori, non è stato semplice dover affrontare Global Economics, International Business, Quantitative Analysis, Social Media Marketing, Corporate Governance, Global Strategic Management e le altre. È stato come tuffarsi in un buco nero.
Ma ora torno a Roma, consapevole e arricchito. Mi creda l’attento lettore, che quando ho iniziato a studiare questi insegnamenti non avevo la benché minima idea di cosa fossero e cosa volessero dire i soli titoli, figuriamoci i testi! Testi che fortunatamente erano pochi, i docenti hanno fornito dall’inizio del corso i materiali su cui studiare, venendoci incontro. Devo ammettere però che una cosa che mi ha colpito fin dall’inizio è stata la mentalità dell’ateneo: l’università in Bulgaria permette allo studente di lavorare, posso dire che si tratta di un sistema che non danneggia lo studente lavoratore! Tutti i miei colleghi autoctoni appartenevano a questa categoria. Il loro approccio era meno ansioso del nostro, forse per l’abitudine, forse perché eravamo in dovere di rappresentare il nostro Paese. Tanto che tutte le nostre lezioni erano così articolate: ogni giorno si faceva un solo insegnamento, dalle ore 17:45 alle ore 21:00. Ovviamente su carta, due docenti erano talmente appassionati alla loro materia che avrebbero fatto nottata! Perché questa fascia oraria? Per permettere ai lavoratori di dedicare uno spicchio di giornata al frequentare le lezioni.
Non che fossero assidui attending students, ma ho un piacevole ricordo delle amicizie bulgare dietro i banchi della UNWE. Prima di parlare di una cosa che mi ha davvero stremato, vorrei raccontare un episodio che ho vissuto una sera invernale (a proposito, a Sofia fa freddo, molto freddo), proprio in Ateneo. Venivo da una lezione di Social Media Marketing e avevo dimenticato il cellulare in aula computer. Preoccupato per un eventuale furto, ho contattato una docente e ho deciso di recarmi la mattina non appena fossero stati aperti i cancelli, per riprendere il bene prezioso, accompagnato da una collega. La docente apre la porta dell’aula… e il telefono non c’è: panico! Che fine aveva fatto? Lo avevano preso le anziane Janitors dell’istituto, lo avevano gentilmente messo in carica, ma…avevano ben pensato di chiamare le persone nella mia rubrica per comunicare IN BULGARO che il mio cellulare era rimasto in ateneo. Peccato che i miei genitori, i miei zii e i miei amici non parlano una sola parola di bulgaro. Ergo, le più sfrenate fantasie horror si sono avverate: mi immaginavano rapito, in fin di vita, in pericolo. Hanno, assieme alla mia dimenticanza, contribuito a regalare un momento di terrore ai miei familiari. Simpatico, non trovate?
Ora vi fornirò qualcosa di altrettanto allegro. Si tratta di un dato peculiare: i docenti bulgari sono ossessionati dalle presentazioni. Non ne ho mai preparato così tante in tutta la mia carriera! Ho una cartella piena di presentazioni sugli argomenti più curiosi e disparati. Eppure, per quanto una presentazione possa essere più leggera di un prisma di 800 pagine, solo a pensarci mi sento male. Non nego, tuttavia, la loro utilità. Ho acquisito abilità di ricerca nuove. Sono cresciuto, sono tornato arricchito e ho sviluppato un senso critico che prima non avevo. Questo perché un anno all’estero ti cambia. Quando si è senza la propria famiglia, senza il proprio partner, senza qualcuno che ti voglia bene si è costretti a tirar fuori le unghie, specialmente in uno stato come quello. Ti sveglia! Perché anche un paese come la Bulgaria, che fa storcere il naso agli uditori o a chi ti chiede dove tu sia stato, ti lascia qualcosa, in barba allo stereotipo del camionista bulgaro. Ma cosa lascia? Un seme, un seme che è pronto a germogliare per dar vita a un fiore che si chiama “età adulta”. E ora che sono tornato spero di poter offrire il mio contributo in maniera ancor più incisiva al mio Paese, alla mia famiglia, e all’Università di cui sono innamorato.