La crisi e il superamento
La conclusione di questo viaggio attraverso le ferrovie della Romania mi mette in crisi: dovrebbe essere il gran finale, ma non riesco a cogliere l’ispirazione e a rendere giustizia alla meravigliosa città che è Bucarest. Quello che si chiama il blocco dello scrittore, la sindrome della pagina bianca, forse il prendersi troppo sul serio, forse il sentirsi di fronte alla necessità di scrivere un Premio Pulitzer, sempre per volare basso si intende. Sarà forse la fine di un grande viaggio a rendere così difficile la stesura di questo articolo?
Può essere, ma ci sono delle scadenze e vanno rispettate e fin qui nulla di strano; è quella frenesia che ti fa iniziare velocemente e con entusiasmo, che ti fa arrivare allo scopo ultimo, ma che poi una volta raggiunto non si sa bene come gestire. La capitale, la mia seconda casa, una città che si è ricreata continuamente a causa degli eventi storici che l’hanno segnata, abitata da persone che hanno accettato di prendere il proprio destino così come viene e come forse dovrei fare anche io di fronte a questo scritto.
Con il suo soprannome storico di Piccola Parigi che le fu dato durante la Belle Époque, Bucarest porta solo i resti di quella che una volta fu una città artistica e all’avanguardia e questi si possono ritrovare nelle vie ormai un po’ troppo turistiche di Lipscani (quando la parabola di TikTok sarà discendente forse potremo aspirare a un turismo più sano), il quartiere che catapulta in una dimensione atemporale, con le sue vie fatte di sanpietrini e balconi alla francese dei palazzi antichi che ricordano appunto Parigi, invase da turisti che vengono calamitati verso i locali a suon di “pizza, pasta, insalata” e se non sei affamato “spritz, mojito, limoncello”. Nelle strade risuona This Love dei Maroon 5, il fascino decadente di una città sempre sul piede di rinascita. Poco più in là, Bulevardul Unirii separa l’estesa omonima piazza con la sua fontana al centro, dall’imponente e spaventoso palazzo del Parlamento, Casa Poporului, il secondo edificio più grande al mondo o, come altri amano ricordare, il più pesante mai costruito. Se si prenota una visita al suo interno, sono molti a testimoniare che una delle poche informazioni che viene data dalle guide ai turisti è il tempo che si impiega per pulire i tappetti all’interno dell’edificio; lascio immaginare che sia molto. Le strade a minimo tre corsie nel centro della città sono costeggiate da aiuole curate al millimetro e parchi giochi che mi fanno scendere una lacrimuccia al pensiero di quando avevo l’età giusta per entrarvi con mio fratello. I famosi palazzi grigi, che si uniscono alle strade e alla Casa del Popolo come esempi di un’epoca che la città ha affrontato, raggiungono il cielo, a testimonianza di quel che è stato e a simbolo di quel che sarà. Calea Victoriei ci conduce alla Piazza della Rivoluzione e, come via Veneto raccoglieva la Dolce Vita romana, la via romena si mostra carica dei passi dei personaggi storici che si sono riversati sul suo tracciato per vivere la bella vita di un tempo che non c’è più, e questo lo hanno visto bene il Grand Hotel Continental, che fu anche luogo di spionaggio durante la dittatura, o la Cofetaria Capșa, che sforna dolci dalla seconda metà del XIX secolo anche per la famiglia reale.
Bucarest accoglie il suo visitatore immergendolo nella sua storia e noi glielo lasciamo fare. Ci abbracciamo in lacrime per la fine di questo capitolo. La revedere București, la revedere România. Mulțumesc pentru tot.
Alla fine, anche i blocchi più grandi che ci imponiamo si riescono a gestire e le ansie a domare, e forse qualcosa a casa ce lo riusciamo a portare. Come io questo articolo.
Cinzia De Gregorio
P.S. Per gli interessati che volessero approfondire la storia di Bucarest nel dettaglio, e della Romania più in generale, suggerisco di leggere Bucarest. Polvere e sangue di Margo Rejmer, del 2022 edito Keller Editore. Per gli altri, niente. Grazie per aver letto.