La rassegna stampa internazionale dell’UNINT.

In Germania continua lo sciopero della fame per il clima da due settimane. In Catalogna l’11 settembre si è celebrato, per il decimo anno consecutivo il Diada de Catalunya, la Giornata Catalana. È stato aperto il primo tratto della pista ciclabile Mosca a San Pietroburgo. In Canada molti infermieri hanno abbandonato il loro posto di lavoro a causa del Covid che lo ha reso pericoloso e difficile. Il Brasile è stato classificato come il 4° paese più pericoloso al mondo per gli ambientalisti. In Cina sono stati  esaminati i moduli firmati dalle donne che acconsentono all’inserimento o alla rimozione dei dispositivi intrauterini.

EUROPA

In Germania, sciopero della fame per il clima da due settimane: gli attivisti rinunciano persino al succo, si legge su Web.de. Dopo due settimane di sciopero della fame in segno di protesta per il clima, un gruppo di attivisti, accampato nei pressi del Reichstag a Berlino, ha annunciato di voler intensificare lo sciopero. Lo hanno comunicato lunedì 13 settembre gli organizzatori dello “sciopero della fame dell’ultima generazione” (Hungerstreik der letzten Generation). Al quindicesimo giorno, cinque dei sei attivisti hanno interrotto l’assunzione dei 300 ml giornalieri di multivitaminico diluito, mostrando perdita di peso e debolezza. La motivazione alla base dello sciopero sarebbe stata la campagna elettorale deludente dei candidati alla cancellieria Baerbock (Verdi), Scholz (SPD) e Laschet (CDU/CSU). “La nostra situazione sta peggiorando. Siamo disperati. Ora bisogna parlarne seriamente”, annuncia il gruppo di attivisti. Secondo le dichiarazioni, il gruppo aveva iniziato lo sciopero della fame a oltranza il 30 agosto, con l’obiettivo di avviare un dibattito pubblico con i candidati alla cancelleria. Un altro obiettivo degli attivisti è la creazione di un consiglio cittadino che definisca le misure politiche urgenti contro il cambiamento climatico. Annalena Baerbock e Olaf Scholz avrebbero contattato gli scioperanti, esortandoli a non correre rischi e a nutrirsi. Tuttavia, il gruppo insiste sulle proprie richieste. Alle elezioni federali si deciderà se “noi, in quanto umanità, abbiamo ancora qualche possibilità di mantenere il riscaldamento globale almeno sotto i due gradi”, ha spiegato l’attivista diciannovenne Lina Eichler. Nella propria lotta, non si sentono rappresentati da una “campagna elettorale fatta di parole belle ma vuote sulla protezione del clima e di spudorate menzogne”, in cui nessun partito avrebbe mostrato un programma elettorale adeguato. Per il ventunenne Henning Jeschke si parla di “tradimento” e di “omicidio della nuova generazione”. Su sette persone in sciopero, una giovane si è ritirata la settimana precedente per motivi di salute.

O.P.

I colori dell’arcobaleno continuano a pervadere le città, questa volta è toccato a Ginevra, dove decine di migliaia di persone hanno marciato per rivendicare l’uguaglianza per tutti. Centinaia di bandiere, tamburi e altoparlanti sono stati protagonisti della Marche des fiertés romande, che ha avuto luogo nel pomeriggio di sabato 11 settembre. Si tratta di membri della comunità LGBTIQ o di sostenitori, i quali hanno rivendicato gli stessi diritti per tutti, indipendentemente dall’orientamento sessuale o dal genere. Il corteo ha lasciato grande spazio alla gioventù; diversi gli slogan lanciati quali: “Facciamo parte della società, siamo qui, non diversi”, oppure “Siamo qui per dire che esistiamo, perché la gente voti sì al matrimonio per tutti”, o ancora “Siamo tutti fatti dello stesso amore!”. La popolazione si pronuncerà in merito ai matrimoni omosessuali il prossimo 26 settembre. Nel frattempo la marcia ha rallegrato gli animi di molti, andando oltre i membri delle sole comunità LGBTIQ; uno di loro si è così espresso in merito: “È importante che tutti sostengano queste rivendicazioni. Più persone ci sono, più le cose andranno avanti.” Molti dei partecipanti erano venuti infatti a sostenere amici o parenti. Come il caso di Rocio, venuta con un’amica di Zurigo, per esprimere la propria solidarietà alla causa. “L’amore è un diritto umano, occorre rispetto. Ho la speranza che con tutta questa folla il mondo cambi finalmente.” Queste sono alcune delle diverse testimonianze.La marcia, dopo aver preso piede, ha poi riempito le strade fino alle 17.00 per proseguire fino a notte inoltrata, e all’alba. Per i più resistenti il programma ha visto un prolungamento fino alla giornata di domenica 12 settembre, tra brunch e musica. Fonte Lematin.

M.P.

Catalogna. L’11 settembre si è celebrato, per il decimo anno consecutivo, il Diada de Catalunya: la Giornata Catalana. Una sorta di dodici ottobre per l’intera nazione. Come si apprende su lavanguardia.com, la celebrazione è stato il pretesto per tornare nelle strade, in particolar modo quelle di Barcellona, e manifestare a favore dell’indipendentismo. Nella capitale catalana, circa 400.000 persone hanno riempito le strade del centro città. Un numero alto se si considerano le circostanze legate al coronavirus; un numero più basso rispetto ai 600.000 di due anni fa a causa della mancanza di unità di cui l’indipendentismo soffre. Una divisione che si evince anche dai dati ufficiali riguardo l’affluenza: i 400.000 sopracitati sono secondo l’Assemblea Nazionale Catalana, mentre secondo la Guardia Urbana l’affluenza è stata di sole 108.000 persone. L’arrivo del presidente catalano, Pedro Aragonès, accompagnato da sua moglie e da altri compagni di Governo, è stato accolto da parte dei manifestanti con sommo entusiasmo. Per altri, invece, è stato il pretesto per andargli contro e gridare “vai via, traditore!”. Anche l’associazione indipendentista Donec Perficiam, ha bloccato la marcia su Via Laietana, all’altezza di Piazza Sant Jaume, con degli striscioni in cui si leggeva chiaramente “basta traditori, è l’ora dell’indipendenza”. Sotto lo slogan di “Lotteremo e otterremo l’indipendenza”, la manifestazione iniziata in Piazza Urquinaona è proseguita lungo tutta Via Laietana fino ad arrivare al noto Parco della Ciutadella. In testa al corteo c’erano la presidentessa dell’Assemblea Nazionale Catalana, Elisenda Paluzie, e Jordi Cuixart (presidente dell’associazione culturale Òmnium), accompagnati da altri membri di sindacati catalani. Nonostante la presenza della polizia nazionale e di quella catalana (Mossos d’Esquadra), non sono mancati i disordini. In alcuni casi, i Mossos sono dovuti intervenire trattenendo alcune persone. Un piccolo gruppo di manifestanti infatti, ha lanciato materiali di vario tipo contro il palazzo della Prefettura situato proprio in Via Laietana. Il ritorno in strada dell’11 settembre è dunque ben lontano dal sentimento di unità che vigeva fino alla manifestazione del 2017.

Y.C.

A Malta è stato istituito un comitato per proporre idee per la rivitalizzazione della baia di St. Paul per affrontare “traffico, criminalità e turismo”. Come si legge in timesofmalta.com, un comitato composto da consiglieri, parti interessate e residenti discuterà e presenterà proposte su come migliorare la Baia di St. Paul come parte di un piano di rigenerazione per la località. Il comitato si concentrerà su questioni sociali ed economiche, tra cui la gestione del traffico e dei rifiuti, il tasso di criminalità, una comunità residenziale multietnica e il turismo. Il ministro del turismo Clayton Bartolo ha detto che il progetto non si limiterà alla baia di St. Paul, ma si espanderà anche alle città vicine che fanno parte della località, tra cui Qawra, Xemxija e Buġibba.  Bartolo ha poi aggiunto: “Gli studi mostrano che molti turisti britannici vengono in queste città per godersi il sole e il mare, e speriamo che attraverso questo progetto di rigenerazione, si possa arrivare ad un piano turistico più olistico”. Quando gli è stato chiesto se il comitato avesse una linea temporale per presentare le sue raccomandazioni, il ministro ha detto che non c’è una data di scadenza specifica, ma le discussioni sono già iniziate. Il sindaco della baia di St. Paul’, Alfred Grima, ha elogiato il progetto, affermando che la località aveva bisogno di una pianificazione e di uno sviluppo adeguati. Ha poi aggiunto che, nonostante il boom di sviluppo, “Negli ultimi 24 anni, a parte il progetto dell’acquario nazionale, i circa 45.000 residenti non hanno visto alcun investimento sostanziale nella loro località”. “Il piano di rigenerazione propone ciò che il consiglio vuole, una pianificazione più strategica che migliorerà il sostentamento dei residenti, delle imprese e dei turisti, e sono convinto che andremo avanti”.

V.G.

AMERICA

Un articolo di Ctvnews rivela che in Canada molti infermieri hanno abbandonato il loro posto di lavoro a causa del Covid che lo ha reso pericoloso e difficile. Ciò ha portato ad un serio deficit di personale sanitario costringendo alcune aree rurali a chiudere temporaneamente gli ospedali. La situazione non è delle migliori e per questo è stato lanciato un appello social circa le pessime condizioni di lavoro. Nonostante i numeri forniti non siano completamente attendibili, tantissimi sono stati i casi di burnout tra gli infermieri inducendoli a lasciare il lavoro e tutto questo sta succedendo ad un ritmo veloce ed allarmante. Sono state raccolte alcune preziose testimonianze tra cui Johanna. Lei è un infermiera e si è occupata dei malati di Covid in terapia intensiva. Le sue giornate e il lavoro erano diventati estenuanti ed era sul punto di collassare. Per questi e anche per altri motivi come l’aggressività dei pazienti o i lunghi turni, Johanna ha deciso di licenziarsi. Non è più un lavoro normale e non ci si sente orgogliosi. La gente li ha dipinti come eroi, le aspettative erano molto alte e se si accenna alla fatica e alla stanchezza, è come se non ci si sentisse più gli eroi che la gente acclamava. È stata intervistata Debra Lefebvre che è infermiera, professionista della salute mentale e membro del consiglio di amministrazione del Registered Nurse Association. Debra ha fatto presente che quasi i due terzi degli infermieri sta cambiando la propria carriera. Chi invece resta sul campo, fa turni extra per aiutare ma purtroppo lavorare troppe ore fa commettere errori, come racconta l’infermiera Anita. La donna ha affermato che discute spesso con le famiglie dei pazienti e non è una bella cosa vedere dalle finestre dell’ospedale persone che protestano contro le mascherine e i vaccini. Questo è un vero e proprio affronto a coloro che stanno sacrificando la loro vita per salvarne altre. Purtroppo anche i giovani infermieri stanno abbandonando il proprio lavoro e se si continua così, lo scenario che si profila sarà molto preoccupante. Ad allarmarsi è stata anche la Canadian Association of Emergency Physicians la quale ha dichiarato di essere ai minimi storici. Più infermieri si dimettono e più aumenta il carico per chi resta, aumenteranno i rischi di infezione e verrà meno la sicurezza dei pazienti. Per fermare questo circolo, occorre vaccinarsi e se i casi di Covid saranno nuovamente elevati, sarà un serio problema per tutti gli ospedali canadesi.

  A.D.S.

AMERICA DEL SUD

Il Brasile è stato classificato come il 4° paese più pericoloso al mondo per gli ambientalisti. Secondo la ONG Global Witness, nel 2020 si sono registrati in tutto il mondo 227 omicidi di difensori dell’ambiente, 20 dei quali sono avvenuti all’interno del territorio brasiliano. I dati fanno parte del rapporto The Last Line of Defense, pubblicato lunedì 13 settembre dalla ONG Global Witness. Le vittime uccise sono coloro che hanno combattuto per difendere i loro territori, i diritti alla terra, i mezzi di sussistenza e l’ambiente. Nella classifica globale, il Brasile appare in quarta posizione, con ben 20 omicidi, preceduto dalla Colombia (con 65 morti), dal Messico (30) e dalle Filippine (29). Per quanto riguarda il territorio brasiliano, il 75% dei crimini si sono verificati in Amazzonia e hanno colpito gli indigeni. Secondo i dati riportati dal quotidiano brasiliano O Globo, nel 2019 il Brasile è emerso nello stesso rapporto occupando la terza posizione con un totale di 24 morti. Tuttavia, il lieve calo degli omicidi non significa che il paese sia meno violento. Basti pensare che, a causa della pandemia, c’è stato meno spostamento, il che può aver influenzato i numeri. Jeane Bellini, coordinatrice del CPT (Comissão Pastoral da Terra) ha inoltre dichiarato a DW Brasil che “era un anno diverso” e che il “centro di documentazione ha avuto difficoltà a decidere come registrare i casi”. Tra gli omicidi elencati all’interno del rapporto vi è quello di Ari Uru-Eu-Wau-Wau, ambientalista appartenente ad un gruppo di Randônia, che ha denunciato le invasioni e i furti di legna in territorio indigeno. Dopo più di un anno dalla sua morte, nessuno è ancora stato ritenuto responsabile o arrestato. Secondo l’analisi della coordinatrice del CTP, il centro degli attacchi in Brasile sono state le aree di conservazione e i territori abitati dalle popolazioni indigene. “Deduciamo che ciò sia dovuto al continuo discorso del presidente Bolsonaro che praticamente invita gli invasori e dice che garantirà loro la terra”, ha concluso la coordinatrice del CTP.

S.F.

MEDIO ORIENTE

L’Iran ha deciso di fare marcia indietro riguardo la situazione di stallo che si era creata con l’organismo di controllo atomico delle Nazioni Unite. Teheran ha infatti acconsentito affinché gli ispettori nucleari delle Nazioni Unite dessero inizio ad un monitoraggio continuo dei suoi siti nucleari. L’accordo è avvenuto domenica 12 settembre ed è stato il risultato dei colloqui avvenuti tra Rafael Grossi, direttore generale dell’agenzia internazionale per l’energia atomica (AEIA) e il capo della ricerca nucleare iraniana, Mohammed Eslami, capo dell’organizzazione per l’energia atomica dell’Iran. Secondo quanto ha dichiarato Rafael Grossi ad Arab News, la risposta positiva di Teheran ha condotto ad un risultato decisamente costruttivo. A partire da questo momento in poi, si potrà garantire la continuità del funzionamento delle attrezzature dell’agenzia sul territorio iraniano e sarà anche possibile per l’AEIA avere le informazioni necessarie affinché possa assicurarsi che tutto proceda al meglio. Nel rapporto trimestrale presentato la scorsa settimana dall’AEIA, l’agenzia aveva infatti evidenziato come le sue attività di verifica e monitoraggio risultassero fortemente compromesse a causa del divieto vigente da parte di Teheran di far accedere alle proprie apparecchiature di monitoraggio gli ispettori delle Nazioni Unite. Le apparecchiature di monitoraggio e sorveglianza invece non andrebbero lasciate senza manutenzione per più di tre mesi. Le altre due questioni chiave messe in evidenza dal rapporto erano relative ai mancati progressi sia nello spiegare le tracce di uranio trovate in siti vecchi e non dichiarati e sia nel tenere traccia degli sviluppi del programma nucleare iraniano. Gli altri Stati occidentali membri dell’agenzia hanno richiesto la censura di Teheran proprio a causa della sua mancanza di cooperazione con gli ispettori internazionali. Anche alcuni Stati della Lega Araba: Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, nel corso di una sessione tenutasi al Cairo la scorsa settimana, si sono trovati d’accordo sulla necessità di fermare le politiche destabilizzanti di Teheran che costituiscono una minaccia alla sicurezza e alla stabilità mondiali. Inoltre, si sono detti favorevoli ad una ispezione di tutti i siti iraniani. Con l’accordo di domenica, gli ispettori hanno potuto installare delle schede di memoria nelle telecamere di sorveglianza presso i siti nucleari iraniani. In questo modo, l’Iran potrà evitare un richiamo nella prossima riunione del consiglio dell’AEIA, alla quale Eslami ha affermato di voler prendere parte così da dare seguito ai negoziati avviati con l’agenzia.

L.L

RUSSIA

Da domenica 12 settembre è aperto il tratto iniziale, lungo 23 km, del percorso “Velo 1” (“Вело 1”) a Dmitrov, in Russia, che si snoda lungo la sponda occidentale del canale di Mosca. Questo percorso entrerà a far parte della grande pista ciclabile che collegherà Mosca e San Pietroburgo. Alla cerimonia di apertura hanno preso parte il governatore della regione di Mosca Andrey Vorobyov e il businessman Roman Abramovich, come si legge su Gazeta. Tramite il suo canale Telegram, Vorobyov ha dichiarato che 137 km di questa pista passeranno attraverso la regione di Mosca e che la lunghezza totale del percorso sarà di oltre 1000 km. La bicicletta sta diventando un mezzo di trasporto sempre più utilizzato dai residenti della regione di Mosca. “In ogni città la bicicletta o il monopattino elettrico sono già diventati la norma”, ha affermato Vorobyov ringraziando la società “Millhouse”, di proprietà di Abramovich, per aver partecipato a questo progetto. Ha aggiunto che anche nella stessa regione di Mosca stanno emergendo nuovi percorsi ciclabili: saranno realizzati in ogni distretto, in modo da collegare gradualmente parchi e siti storici.
“Velo 1” è la prima pista ciclabile di questo genere in Russia, che collegherà due capitali: il percorso passerà attraverso 300 centri abitati e 400 attrazioni di carattere culturale, storico e naturale. L’obiettivo della sua costruzione è lo sviluppo del turismo domestico, presumendo che riunirà una comunità di appassionati di bici, atleti, viaggiatori e che diffonderà la cultura del ciclismo e di uno stile di vita sano a cui ispirarsi. “Le bici sono richieste ovunque”, ha ribadito Vorobyov, “e noi costruiremo tutte le infrastrutture, marciapiedi, strade con uscite sicure in modo che siano accessibili a tutti”. Il tratto dalla tangenziale di Mosca (MKAD) a Dubna sarà già pronto per essere utilizzato verso la fine del 2022, inizio del 2023, ha detto il governatore.

E.R.

OCEANIA

Come si legge sul NZ Herald ad Auckland, in Nuova Zelanda, scoppia un nuovo focolaio Covid a causa della variante Delta. Per questo motivo il Primo Ministro Jacinda Ardern ha annunciato che la città rimarrà nel livello di allerta 4 di lockdown, il più alto, per un’altra settimana, fino alle 23.59 del 21 settembre. Dal 22 settembre in poi la città passerà nel livello 3, come ha già deciso il gabinetto, mentre il resto del Paese resterà nel livello 2. Il Primo Ministro si è mostrato grato nei confronti degli abitanti di Auckland per aver sopportato l’isolamento e afferma: “la prossima settimana sarà fondamentale per fornire un’ulteriore rassicurazione”. Inoltre, l’appello a non abbassare la guardia agli abitanti delle zone limitrofe ad Auckland: “Rimanete nella vostra bolla. Restate a casa il più possibile. Cercate di ridurre il rischio facendo andare una sola persona ai negozi o al supermercato. Oggi sono stati annunciati 33 nuovi casi ad Auckland. È il più alto numero di casi giornalieri di questi giorni.” Secondo le statistiche, sono previsti altri 50 casi nei prossimi giorni a causa della rapidità di diffusione della variante Delta.

M.P.

CINA

Cina. Secondo chinadaily.com Arezgul Tursun, capo del dipartimento di ginecologia di un ospedale della regione autonoma dello Xinjiang Uygur, ha esaminato i moduli firmati dalle donne che acconsentono all’inserimento o alla rimozione dei dispositivi intrauterini. Ha poi prodotto le cifre del numero di donne che si sono sottoposte a tali procedure che coinvolgono i dispositivi di contraccezione a lungo termine dall’inizio di quest’anno fino al 20 maggio. “Abbiamo condotto 97 procedure durante questo periodo. Il numero di donne che scelgono di usare gli IUD per la contraccezione è calato bruscamente negli ultimi anni”, ha detto Arezgul nella sala di consultazione dell’ospedale comunale di Yarkant, la contea più popolata nella prefettura di Kashgar, nello Xinjiang meridionale. Gli Uygur costituiscono più del 96% della popolazione della contea. “Il nostro ospedale è il primo posto che le donne locali visitano se vogliono conoscere le condizionii di pianificazione familiare o se vogliono sottoporsi a interventi di inserimento di IUD, quindi credo che la situazione nel mio reparto possa facilmente contrastare le voci secondo cui le donne Uygur sono costrette a sottoporsi a procedure di IUD o siano addirittura sterilizzate sistematicamente”, ha detto Arezgul. Le affermazioni di contraccezione forzata e sterilizzazione forzata nello Xinjiang, fatte per la prima volta da Adrian Zenz, figura tedesca anti-Cina, sono state rapidamente utilizzate da alcuni politici occidentali come arma per attaccare la situazione dei diritti umani dello Xinjiang. Nel “rapporto di ricerca” di Zenz, pubblicato nel giugno dello scorso anno, egli ha erroneamente affermato che il governo cinese ha imposto interventi chirurgici contraccettivi alle donne Uygur con un figlio, e la sterilizzazione a tali madri con tre figli. Il rapporto è stato poi citato dall’ex segretario di stato americano Mike Pompeo quando gli Stati Uniti hanno lanciato accuse di genocidio nello Xinjiang. Nonostante le accuse, dal 2010, la popolazione Uygur della regione è aumentata di 1,62 milioni, o 16,2 per cento, fino a più di 11,62 milioni l’anno scorso, secondo gli ultimi dati del censimento.

C.C.

Rassegna stampa a cura di:

Valentina Guerra (lingua inglese)
Ylenia Cossu (lingua spagnola)
Mariella Perrone (lingua francese)
Antonella De Stasio (lingua inglese)
Marika Provenzano (lingua tedesca)
Elena Romani (lingua russa)
Oxana Parshina (lingua tedesca)
Simona Ferri (lingua portoghese)
Ludovica Lara (lingua araba)
Chiara Cavallini (lingua cinese)