#QUELLOCHECIUNISCE: Giornata mondiale dell’acqua

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“The earth, the air, the land, and the water are not an inheritance from our forefathers but on loan from our children. So we have to handover to them at least as it was handed over to us.” – Mahatma Gandhi

Oggi 22 marzo 2020 è la Giornata mondiale dell’acqua (World Water Day), affrontare questo tema mi ha fatto venire in mente alcuni episodi della mia infanzia. Quante volte mentre eravate in bagno a lavarvi i denti, i vostri genitori dall’altra stanza vi dicevano di chiudere il rubinetto per non sprecare l’acqua? Oppure, chi di voi ricorda quando da piccoli le maestre ci spiegavano come rispettare il nostro ambiente?

Parlare dell’acqua e della sua importanza mi fa anche pensare a quando ero una Scout e in particolare a una frase del saggio Baden Powell: “Lascia il mondo un po’ migliore di come l’hai trovato”. Questa frase mi fa riflettere su quanto sia fondamentale rispettare le risorse che il nostro pianeta ci ha donato, l’acqua è un patrimonio per gli esseri umani, è un elemento da cui dipendiamo e di cui siamo composti.

Come non celebrarla? Così nel 1922 le Nazioni Unite fissano una Giornata mondiale dell’acqua (World Water Day). L’intento è quello non solo di celebrare l’elemento acqua, ma ancor di più interrogarsi sulle relative problematiche quali possono essere: l’accesso all’acqua potabile, disponibilità per tutti di servizi igienico-sanitari, la sostenibilità degli habitat acquatici, salvaguardia del ciclo naturale dell’acqua ecc.

Il 22 marzo di ogni anno gli Stati membri dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, si riuniscono per promuovere attività concrete, inerenti all’acqua, nei loro rispettivi Paesi. Alla Giornata viene dato sempre un tema diverso, quest’anno il World Water Day sarà sull’acqua e i cambiamenti climatici e su come i due sono estremamente connessi. Infatti i cambiamenti climatici aumentano la variabilità del ciclo dell’acqua, inducono a disastri ambientali e riducono la prevedibilità della disponibilità della risorsa.

Per farvi alcuni esempi, in Messico solo una parte della popolazione ha accesso all’acqua potabile e una lattina di Pepsi costa meno di una bottiglietta d’acqua.

In Medio Oriente e nella regione del Nord Africa risiedono la maggior parte dei Paesi a rischio idrico, secondo l’ultimo aggiornamento dell’Atlante-Aqueduct Water Risk.

L’India, vive contemporaneamente un’emergenza sia livello idrico che a livello nutrizionale, causata soprattutto dal fatto che l’acqua viene estratta per l’irrigazione, in particolare per il prodotto nazionale, il riso.

Il Word Water Day è anche una giornata che deve servire a sensibilizzare gli animi della popolazione mondiale. Il cambiamento climatico così come le problematiche legate all’acqua sono argomenti che generalmente intimoriscono, ma ognuno di noi può fare la differenza. Informiamoci, usiamo in modo intelligente l’acqua, non sprechiamola, assicuriamoci di tramandare il messaggio alla parte più giovane della popolazione, che un domani potrà fare la differenza.

Il nostro pianeta è il nostro mondo, l’acqua è uno degli elementi che fa sì che ogni giorno il miracolo della vita avvenga, non possiamo permetterci di aspettare!

Vorrei lasciare uno spunto di riflessione su una frase di Publio Ovidio Nasone:

“Che c’è di più duro d’una pietra e di più molle dell’acqua? Eppure la molle acqua scava la dura pietra”

L’acqua stessa ci insegna come le cose in apparenza impossibili possano divenire realtà, così l’uomo deve essere acqua e con costanza e perseveranza tracciare la via del miglioramento.

 Pasqualina Florio

Fonti:                                                                                         https://www.unwater.org/publications/un-water-policy-brief-on-climate-change-and-water/learn

#QUELLOCHECIUNISCE: Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale

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21 Marzo: Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale

Oggi, 21 marzo, è la giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, istituita nel 1966 dalla Nazioni Unite. È quindi la giornata per celebrare l’umanità, gioire delle differenze etnico-culturali che ci sono tra i vari Paesi e che rendono il mondo così variopinto e colorato. Ma che cos’è la discriminazione razziale? Perché l’ONU ha scelto proprio il 21 marzo per celebrarla? C’è qualcosa che noi, nel nostro piccolo, potremmo fare per aiutare nell’impresa? Ebbene, questo articolo cercherà di rispondere a queste domande. Andiamo con ordine.

Che cos’è la discriminazione razziale? Se cerchiamo sulla Treccani la definizione di questi due termini, in entrambi troviamo il riferimento all’altro. Paiono inseparabili, esiste sempre una discriminazione di tipo razziale, e razziale può sempre far riferimento alla discriminazione. In breve, possiamo riassumere il concetto della discriminazione razziale con il termine a cui sempre associamo pensieri negativi, momenti bui della storia: razzismo. Il razzismo è l’idea della divisione umana in base a razze, ossia a gruppi etnici, culturali e/o religiosi; in questa divisione in razze, secondo la definizione del razzismo, alcune sono superiori ad altre. In breve, razzismo implica una gerarchia tra razze, ossia tra etnie e culture. La storia è costellata di esempi di razzismo, noi stessi rabbrividiamo al pensiero, e infatti nel 1950 l’UNESCO, tramite la Dichiarazione sulla razza, ha negato ufficialmente (pensate, c’è stato bisogno di giungere alla formulazione di un decreto internazionale) qualsiasi connessione tra il DNA di un individuo (e quindi il colore della pelle, dei capelli, degli occhi… in breve, tutti quei caratteri fenotipici studiati grazie a Mendel) e le sue proprietà intellettuali (lingua, pensieri, ideologie, ecc). Si rifà un po’ agli studi di Lévi Strauss, rielaborati dall’antropologo nel suo saggio “Razza e Storia”, dove asseriva che le probabilità che due individui appartenenti a culture diverse avessero un DNA simile erano più alte che quelle di due individui della stessa cultura. Ce ne abbiamo messo di tempo noi, in quanto umanità, a renderci conto che non è il colore della pelle o la forma degli occhi a definire il nostro carattere: d’altronde il mondo globalizzato in cui viviamo, con le città multiculturali che emergono, ce lo sbattono in faccia ogni giorno. Quante volte un individuo con caratteristiche fenotipiche cinesi parla meglio l’taliano (perchè è italiano!) meglio del cugino di quinto grado il cui nonno era espatriato nel Brasile e che della cultura italiana sa poco o niente?

Purtroppo però il prezzo pagato per giungere a tali conclusioni è stato enorme: la storia ha visto susseguirsi diversi casi di razzismo, dal genocidio armeno a quello degli ebrei, dall’apartheid alla segregazione razziale degli Stati Uniti d’America, e molti altri esempi che potremmo citare, e altri ancora che magari, ad oggi, non sono ancora perpetrati. La razza forte, la cultura dominante, l’etnia che prevale, tende a soggiogare quella più debole (minoritaria, meno diffusa su quel territorio). È proprio la ricorrenza dell’anniversario di uno di questi eventi che l’ONU ha preso come giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale. Il 21 marzo 1960, 300 poliziotti bianchi, in Sudafrica, uccisero 69 manifestanti che protestavano contro l’Urban Areas Act. Tale decreto prevedeva l’obbligo dei cittadini di colore di esibire un permesso speciale nel momento in cui accedevano alle aree del Paese riservate ai bianchi. Siamo nell’ambito dell’apartheid, l’ennesimo esempio di segregazione razziale, una ghettizzazione a cui erano costretti soltanto gli abitanti di colore, colpevoli in breve di non essere nati bianchi, e non degni quindi di vivere come loro.

Ogni anno l’ONU, in occasione del 21 Marzo, si concentra su una determinata tematica di natura discriminatoria da affrontare. Negli anni precedenti, ad esempio, si è concentrato sul promuovere tolleranza e rispetto per la diversità, sulla lotta alla xenofobia e all’intolleranza. L’edizione del 2020 invece si concentra sul fare il punto della situazione nell’ambito delle popolazioni africane. Nel 2015 infatti è stata firmata tra i vari Stati la carta del Decennio per le popolazioni Africane, che prevede un aiuto ai Paesi più poveri di questo continente, sempre nell’ottica di uno sviluppo e riconoscimento paritario tra i vari Stati. In breve, l’ONU cerca sempre più di promuovere tolleranza e spirito di uguaglianza, in una realtà internazionale globalizzata e realtà nazionali multiculturali, dove l’incontro tra varie culture fa la forza.

Che cosa possiamo fare noi nel nostro piccolo per promuovere questo spirito? È semplice: la prossima volta che ci troviamo di fronte qualcuno diverso da noi, che parla un’altra lingua, crede in un Dio diverso, mangia e vive in maniera diversa, non discriminiamolo. Condividiamo le nostre culture, impariamo ad apprezzarci a vicenda e, magari, riusciremo a diventare interculturali, ad avere più punti di vista sulla stessa tematica, ad accrescere il nostro bagaglio culturale.

La Terra è una sola, ma è variopinta e meravigliosa nelle sue varie sfumature, sarebbe un peccato non imparare ad apprezzarle tutte.  

Emanuela Batir

#QUELLOCHECIUNISCE: Giornata internazionale del Nowruz (Capodanno Persiano)

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Nowruz, capodanno in Iran

Venerdì 20 marzo, alle 4.49 del mattino (ora italiana), il sole entra nella costellazione dell’Ariete: è l’inizio di un nuovo ciclo astrologico, è l’inizio della primavera.

In Iran si festeggia il capodanno, Nowruz, “nuovo giorno”, le cui radici preislamiche ne fanno una ricorrenza antichissima, retaggio della tradizione zoroastriana. Nowruz è una festa talmente radicata nella cultura iraniana da essere risultata immune ai tentativi post-rivoluzionari di cancellarla dal calendario delle festività della Repubblica Islamica.

La tradizione vuole che le celebrazioni comincino dodici giorni prima del capodanno, con una pulizia approfondita della casa, che viene liberata da ogni inutile disordine e sporcizia per fare posto a quello che verrà nell’anno nuovo. Molteplici sono le usanze che gravitano attorno a questa ricorrenza: dall’Haft-Sin, la tavola imbandita simbolo di Nowruz, al Chaharshanbe Surì, la festa del fuoco, passando per l’apparizione per le strade di Hajji Firuz, una sorta di Babbo Natale persiano.

L’Haft-Sin è sicuramente l’emblema di Nowruz, una tavola imbandita su cui trovano posto sette oggetti i cui nomi in persiano, iniziano tutti con la lettera “s”. Sabzeh, una pianta di grano come simbolo di verde, natura e rinascita; Samanu,un dolce budino a base di germe di grano che simboleggia il potere e il coraggio; Senjed, olive persiane secche che simboleggiano la saggezza; Seeb, mele per augurare la salute; Somaq, le bacche tipo datteri che significano pazienza e tolleranza; Serkeh, l’aceto per l’azione disinfettante e la pulizia; Sir, l’aglio simbolo della medicina. Figurano sulla tavola anche le uova dipinte, simbolo di prosperità, e i pesci rossi, che rappresentano la vita che scorre.

La sera dell’ultimo martedì dell’anno ha luogo la festa del fuoco, Chaharshanbe Surì. Per tutta la città vengono accesi dei piccoli fuochi su cui la tradizione vuole si debba saltare, recitando la frase:”Dammi il colore rosso e prenditi il giallo del mio pallore”. Le ceneri poi, simbolo di ciò che triste e doloroso l’anno precedente ha riservato, vengono sepolte lontano dalle case.

Ghashogh-Zani è un’altra tradizione legata alla festa del fuoco, che prevede che le persone si coprano da capo a piedi, portando con se pentole e utensili con cui fare rumore, fermandosi casa per casa, guidate dalle luci dei falò, a chiedere dolci e cibo.

Chaharshanbe Surì simboleggia la purificazione, il passaggio dal freddo e dall’angoscia dell’inverno alla rinascita primaverile; è con questo rito che gli iraniani danno il benvenuto all’anno nuovo.

Durante tutto il periodo dei preparativi e dei festeggiamenti fa la sua apparizione per le strade Haji Firouz, una sorta di babbo Natale, vestito di rosso e con il volto colorato in nero, che suona il suo tamburino,“Darie”, rallegrando i passanti e augurando loro buon anno.

I festeggiamenti culminano il tredicesimo giorno dell’anno nuovo, in cui si celebra Sizdah bedar, che dal farsi possiamo tradurre come “13 all’aperto”. È tradizione festeggiare questa giornata all’aperto, lontano da casa, immersi nella natura, in un’atmosfera gioiosa e spensierata. In questo modo viene scongiurata la visita degli spiriti malvagi, che non trovando nessuno a casa, sono costretti ad andarsene. I germogli usati per il Sabzeh dell’Haft-Sin vengono gettati nell’acqua di un fiume, gesto che simboleggia la volontà di liberarsi della negatività accumulata fino a quel momento.

Terminano così i festeggiamenti di Nowruz, tra canti e balli, sotto il nuovo sole primaverile e le speranze che porta con sé.

Nowruz è famiglia, l’occasione per riunirsi con i propri cari e le persone amate, e lasciarsi alle spalle quanto di spiacevole c’è stato prima.

Nowruz é rinascita, è la tenebra che lascia spazio a una nuova luce, a una rinnovata fiducia e un fresco ottimismo di un nuovo inizio.

Quale periodo migliore di questo per tornare a sperare?

Sal-e no mobarak a tutti!

Chiara Palumbo

#QUELLOCHECIUNISCE: Papà mi ha insegnato a…

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Oggi è la festa del papà. Una data per ricordare il loro lavoro, il bene che ci hanno trasmesso, i sacrifici che hanno fatto per renderci le persone che siamo oggi. Per alcuni è stata anche la prima parola. “Papà!”.

Papà è quella figura che torna a casa a tardi, stremato dal lavoro, con cui passi poche ore nell’arco della giornata, nella settimana. E allo stesso tempo è quella persona che nei weekend quando era di riposo, ci dedicava tutto il suo tempo libero, per rubarci un sorriso. 
Papà è quella persona che ci sarà sempre, che farà di tutto per renderti felice e che mette la tua felicità prima della sua.
Negli anni crescendo non ci rendiamo conto della fortuna che abbiamo ad averlo presente nella nostra vita. Eppure, c’è sempre, in ogni momento. Ed è per questo che voglio dirti papà, grazie, perché qualunque percorso io vorrò intraprendere, spero di diventare proprio come te.
Nisrine

Papà mi ha insegnato ad andare in bici, mi ha insegnato trucchi per ricordarmi le tabelline, mi ha spiegato come usare la frizione e come guidare, mi ha mostrato come usare bene la Canon per fare le foto. Papà mi ha insegnato ad apprezzare le persone che ho intorno, a coltivare le amicizie, anche a distanza, a sorridere con coloro a cui voglio bene, ridere e divertirmi. Papà mi ha insegnato che la vita è meravigliosa, nonostante tutto e tutti, e per questo voglio ringraziarlo. E dirgli che mi manca, e che non vedo l’ora di riabbracciarlo.
Emanuela

Papà mi ha insegnato ad affrontare le sfide della vita.
Mi ha insegnato che le difficoltà vanno accolte, prese per mano, dopo essersi rimboccati le maniche e poi, attraversate.
Mi ha insegnato a lasciarmi guidare dalla fiducia nelle mie capacità e dall’amore della mia famiglia, mantenendo i piedi ben saldi al terreno, ma lo sguardo sempre fisso verso qualcosa di più grande ed inafferrabile.
Mi ha insegnato a perdonare i torti subiti e a tollerare le ingiustizie, perché la gentilezza e l’accoglienza sono le armi più potenti che ci possano difendere.
Papà mi ha insegnato ad essere responsabile delle mie scelte, a portare a termine i miei compiti e le mie decisioni, ad essere sempre fiera dei traguardi ottenuti, puntando poi ogni volta più in alto.
Mi ha insegnato ad avere paura senza sentirmi sola, a stare sola senza sentirmi fragile, ad essere fragile senza averne paura.
Sara

Quando penso al mio papà, mi commuovo sempre un po’: non trovo mai le parole giuste per dirgli e spiegargli il bene che gli voglio (forse perché un bene così grande è impossibile da descrivere a parole).
Lui che mi ha insegnato a ridere di ogni problema, che mi ha dato questo nome simbolo di allegria e che, quando da piccola dovevo essere cullata, mi faceva ballare.
Caro papà, che queste poche righe siano anni di “ti voglio bene” persi, rinchiusi in caratteri molto solari, ma al contempo chiusi come i nostri e soprattutto, caro papà, per quanto possa allontanarmi da te, ricorda che sarò sempre la tua bambina.
Grazie per essere il mio grande piccolo principe.
Tatina (Ilaria)

Papà è la colonna portante della mia vita, mi ha insegnato il valore della famiglia e dell’unione, a guardare ogni situazione sempre con positività.
Il mio papà è una persona molto forte, è stato anche una mamma ed è il mio migliore amico; mi ha insegnato ad assaporare le cose semplici della vita come un sorriso, a godermi ogni attimo di felicità, a lottare per le mie ambizioni e a rialzarmi quando tutto sembrava essere perduto.
Mi ha insegnato ad essere umile sempre, ad ascoltare gli altri, ad amare e abbandonare i rancori. Il mio papà è un eroe che mi ha insegnato lo spirito del sacrificio, a non dare per scontato niente e a non aver paura del buio perché in fondo ci sarà sempre la luce.
Ti amo papà!
Lina

Mio padre mi ha insegnato a non mollare mai e soprattutto a combattere con tutte le nostre forze qualsiasi ostacolo la vita ci metta di fronte.  Giuseppe

Papà mi ha insegnato a non arrendermi mai, nemmeno quando sembra non esserci una via d’uscita.
Papà mi ha insegnato che le emozioni e i sentimenti non sono “da deboli”.
Papà mi ha insegnato che le donne sono attori validi nella società esattamente come gli uomini.
Papà mi ha insegnato che posso essere quello che voglio.
Papà mi ha insegnato ad avere il coraggio di cambiare le carte in tavola e a non avere un atteggiamento passivo nei confronti della realtà.
Grazie di tutto.
Clara

Papà mi ha insegnato a essere forte e libera.
Che non bisogna per forza essere in due per accendersi un mutuo e comprarsi casa.
Che se ce la fanno gli altri puoi farcela anche tu, consapevole di quelle che sono le tue capacità, guardando sempre avanti.
Che non importa se voglio viaggiare in compagnia o da sola, se sono fidanzata o single, se ho desiderio di avere una famiglia o al momento solo l’idea mi fa rabbrividire.
Più di una volta ho sentito dirgli “i figli non sono nostri”. Nel senso stretto del possesso.
Papà mi ha insegnato che se voglio posso raggiungere i miei obiettivi, qualsiasi essi siano.
Giulia

Papà mi ha insegnato ad amare le piccole cose.
Che qualche volta, quando vado a fare compere, prendere un cartoccio di caldarroste per le strade di Roma in compagnia di una persona a cui voglio bene o di me stessa vale più di tutto quello che ogni volta porto a casa nelle mie buste.
Che certi momenti sono più tangibili di certi oggetti.
Che per i libri avrei potuto chiedere sempre.
Che prosciutto e mozzarella vanno tagliati bene o rischi di strozzarti. E che se mi fosse successo a tavola con il Papa o con la Regina Elisabetta non avrei dovuto badare a formalismi, ma solo a me.
Una mattina, mentre percorrevo il vialetto costeggiato di aranci verso scuola, mi ha chiesto di tornare da lui. E mi ha detto: “Non è necessario che la persona che sceglierai di avere al tuo fianco abbia un bell’aspetto. Ma una bella mente sì. Necessariamente.” Così sarei stata felice; avrei potuto parlarci per sempre.
E poi mi ha insegnato ad accettare le persone per come sono e non per come vorrei che fossero. A capire che la sua assenza a volte era semplicemente la sua essenza. E che alcune apparenti assenze celano le più forti presenze.
Federica